Mostra Nuova Calenum
Presentazione
Il Venturi, ritrovando nella Carinola di inizio secolo pressoché integri quei caratteri architettonici peculiari acquisiti dal piccolo centro campano nel Quattrocento e celati sino ad allora solo dall’oblio, associò, in una sua celebre definizione, a quello di Carinola il nome di “Pompei del Quattrocento“.
Ma quella Carinola, scoperta così tardi, che rivelava all’improvviso la sua sorprendente vicenda artistica, sospesa tra il gotico catalano ed il rinascimento, durò solo pochi decenni. Infatti, le distruzioni della seconda guerra mondiale prima e l’incuria dell’uomo poi, ne mutarono profondamente l’aspetto. Cercare oggi di recuperare almeno l’immagine di quella realtà così particolare, attraverso l’utilizzazione di materiale fotografico, reperito per lo più occasionalmente, è quanto ci siamo proposti allestendo questa mostra. Certo, non vi è nulla di scientifico alla base di questo nostro lavoro; il materiale fotografico ritrovato non ci consente di ricostruire visivamente, nella sua integrità, la Carinola di inizio secolo, che ancora recava in sé vivida l’impronta dell’arte catalano-rinascimentale. Le lacune sono molte ed incolmabili; pur tuttavia i pochi reperti fotografici che in un anno di lavoro siamo riusciti a mettere insieme, possono oggi offrire uno squarcio significativo e molto interessante su di una realtà che, sia pur ripresa casualmente nei primi decenni del secolo, e conservata in poche e sparute fotografie, contiene in sé immutati quei caratteri unici ed irripetibili che costituiscono la cifra artistica di quel particolare momento storico-culturale.
La decisione di affiancare, laddove il raffronto si è rilevato possibile, i reperti più antichi con fotografie moderne, è stata presa allo scopo di evidenziare i profondi mutamenti e le alterazioni che nel giro di pochi decenni si sono prodotti tra le due realtà messe a confronto; e, quindi, far emergere con assoluta chiarezza quanto, in questi anni, è andato perduto, e non sempre a causa della guerra.
In ogni caso questa nostra iniziativa, pur partendo da un fatto meramente rievocativo, non vuole essere fine a se stessa, ma vuole costituire un punto fermo dal quale muoversi per bloccare il progressivo degrado di Carinola e recuperare, per quanto ancora possibile, con il suo ricco patrimonio storico ed artistico, la sua stessa identità storica. Molti sono stati sinora gli sforzi fatti dai più per denunciare l’inspiegabile abbandono in cui, dal dopoguerra, versa Carinola; molti sono stati gli autori, succedutisi nel tempo, che si sono cimentati con tale argomento, ma sono stati soprattutto sforzi di natura documentale, rivelatisi scarsamente incisivi. L’allestimento di una mostra, invece, proprio per il suo carattere immediato, vuole associare ad una fase meramente divulgativa, che si esplica attraverso la rappresentazione di una certa realtà, una fase operativa, che partendo da quella realtà, miri a risolverne i molti problemi.
Il circolo Nuova “Calenum.
Carinola
CENNI STORICI
da: “Carinola tra storia e immagini”
Circolo Legambiente Nuova “Calenum”
INQUADRAMENTO STORICO-URBANISTICO
Carinola nasce in età medioevale, intorno al IX secolo, a seguito delle invasioni e delle devastazioni che, fra V ed VIII secolo, colpiscono questa parte dell’Italia. Infatti, gli abitanti delle più antiche “villae rusticae” e di alcuni centri della pianura del Volturno, costretti ad abbandonare le proprie case, individuano nella collina su cui oggi sorge l’abitato gli indispensabili requisiti di sicurezza e di facilità di difesa.
Il tessuto urbano si articola in rapporto ad un asse viario principale e ad arterie secondarie ad esso perpendicolari che definiscono una semplice ossatura a spina di pesce: la più antica è la zona meridionale, cioè quella intorno alla cattedrale ed al vescovado; in seguito, la città si estende verso nord in prosecuzione dell’asse mediano e si conclude, nel punto più elevato del borgo, con un imponente castello. La regolare orditura interna non è condizionata dallo svolgersi della cinta muraria, la quale delimita un caratteristico impianto a fuso seguendo l’andamento topografico ed i dislivelli del terreno.
Il passaggio dall’epoca medioevale a quella feudale provoca una sostanziale modifica del tessuto urbano: se prima esso era caratterizzato da una estrema compattezza, in rapporto ai due poli decentrati del castello e della cattedrale, le mutate condizioni sociali vedono la necessità delle famiglie feudali di insediarsi all’interno dell’abitato. Ecco, così, che nel XV secolo si realizzano opere dai grandi contenuti architettonici nonché ‚ ricche di elementi decorativi di stile catalano influenzato dal gotico meridionale.
L’impianto urbanistico attuale di Carinola è rimasto pressoché lo stesso di quello trasformato alla fine del quattrocento; ne risulta una grande qualità edilizia e monumentale, spesso però resa irriconoscibile dai guasti di terremoti antichi e recenti, dalle distruzioni belliche e, soprattutto, dall’incuria in cui versa da troppo tempo. Nel complesso, l’abitato di Carinola presenta uniformità e compattezza edilizia corrispondenti alla continuità di una tradizione agricola; prevalgono le case in tufo grigio intonacato, articolate intorno ad un cortile su due piani, con tetti a falde in tegole: a piano terra vi sono depositi, spesso voltati, al piano superiore i vani destinati ad abitazione, coperti con strutture lignee talvolta vivacemente dipinte.
Nocelleto
CENNI STORICI
da: “Carinola tra storia e immagini”
Circolo Legambiente Nuova “Calenum”
Nocelleto costituisce attualmente la frazione più estesa e popolosa del comune di Carinola, ma tale suo sviluppo è molto recente ed ha inizio con la fine del secondo conflitto mondiale.
Le sue origini sono piuttosto incerte: sorge, probabilmente, sull’antico sito occupato da Urbana, importante insediamento romano, forse una colonia, ed ha uno sviluppo molto travagliato. Decaduta Urbana, infatti, la zona viene segnalata per l’insalubrità e l’insicurezza del sito: acquitrini ed incursioni saracene delineano l’immagine di un paesaggio desolato; così il luogo viene progressivamente abbandonato dai suoi abitanti più abbienti, che si trasferiscono in zone più salubri e sicure; restano solo i servi della gleba e pochi contadini, i quali tendono a fortificarsi in masserie-fortezze. Ha così inizio una nuova fase caratterizzata dall’aggrupparsi, in zone omogenee, di più masserie, servite, in genere, da una chiesa; si configura così una nuova tipologia urbanistico-edilizia: quella della masseria-villaggio. Di conseguenza, il territorio viene suddiviso in cappellanie, o, nel caso di raggruppamenti più ampi, in vere e proprie parrocchie. Nocelleto, in questa fase, viene sempre più assumendo la struttura di un insediamento policentrico, comune anche ad altre realtà della zona.
Sul finire del Quattrocento, due tra le maggiori comunità, quella di S. Pietro e quella di Nocelleto (che si era articolata e sviluppata intorno all’antica chiesa dell’Annunziata, tuttora esistente), si fondono tra di loro, dando vita ad un nuovo nucleo abitativo, al centro del quale viene eretta, agli inizi del Cinquecento, una nuova chiesa dedicata a S. Sisto II.
Tra il Quattrocento ed il Cinquecento, Nocelleto viene sfiorata dal nuovo clima culturale che, intanto, veniva affermandosi nella vicina Carinola, con l’esplosione dell’arte catalana; tale coinvolgimento, tuttavia, fu marginale, tanto da non lasciare nella struttura urbanistica del nuovo centro alcuna significativa traccia, né episodi organici (quali fabbriche religiose o civili). L’esperienza catalana in Nocelleto fu contraddistinta, in massima parte, dall’inserimento in strutture preesistenti di alcuni particolari. Tali episodi, che in origine tuttavia dovevano essere molto più diffusi, sono oggi visibili nel portale d’ingresso al cortile di casa Lepore, nel portale di casa Sorrentino e nell’arco d’ingresso a vico Aurora; la tipologia di questi episodi è quella ben nota in Carinola: arco a sesto ribassato, inquadrato in una cornice rettangolare e variamente decorato.
Ma a partire da questo momento, tuttavia, Nocelleto conosce un nuovo periodo di decadimento sociale ed economico, le cui cause, ancora una volta, sono da ravvisarsi nella insalubrità del luogo, nelle vaste distese paludose ed acquitrinose che caratterizzano il territorio. Tale stato di cose provoca un forte calo demografico e il paese va incontro ad una fase di involuzione, a differenza dei centri circostanti, che invece progrediscono; fase protrattasi fino ai primi decenni del Novecento.
Come dicevamo, lo sviluppo urbanistico e demografico di Nocelleto ha inizio col dopoguerra; infatti, agli inizi del secolo non contava che poco più di 700 abitanti. Le opere di bonifica, iniziate appunto col dopoguerra, rendono fertili grandi masse di terreno, liberate dalle acque e rassodate, e fanno sì che abbia inizio, in certo senso, un fenomeno inverso a quello che tra XVI e XVII secolo ne aveva causato il decadimento. Infatti, attirate proprio dalla fertilità del suolo, nuove masse di genti si spostano dal resto della Campania in questa parte, ripopolandola. Il fenomeno si accentua via via col passare degli anni, e così, in pochi decenni, Nocelleto, divenuta intanto (come attesta il censimento del 1971) la frazione più popolosa del comune di Carinola, conosce uno sviluppo urbanistico non sempre razionale e ordinato, che le conferisce l’aspetto attuale.
Casale
CENNI STORICI
da: “Carinola tra storia e immagini”
Circolo Legambiente Nuova “Calenum”
“Sostituita al Caleno antico, e ancora confusa con quello…, è situata alle radici del Monte Massico vicino al Falerno, in vicinanza di Sessa, con fertile territorio, e otto Casali non inferiori di grandezza alla città”.
Questa affermazione del Pacichelli restituisce, in maniera semplice ed esaustiva, il senso del territorio di Carinola in rapporto alla città. Tra i “casali” emergono, per autonomia formale, quelli che occupano una posizione geografica isolata rispetto alla restante parte del comune. Per quanto riguarda la frazione di Casale, tale isolamento dipende sia dalle dissimili condizioni geomorfologiche, sia dall’attuale tracciato dell’Appia, che funge da rilevante cesura.
Vignai, S. Janni, Casale di Sopra, Casale di Mezzo costituiscono attualmente un unico aggregato, – Casale di Carinola per l’appunto – che conserva comunque la sua matrice di insediamento policentrico collinare ad economia prevalentemente agricola.
La sua nascita in epoca romana è legata all’influenza della vicina e importante città di Foro Claudio, situata nell’area archeologica dell’attuale Ventaroli. La collina di Casale era destinata principalmente alla coltivazione della vite, dalla quale si producevano il Faustiano e soprattutto il Gaurano, varietà del Falerno citate dallo stesso Plinio.
Sin dalla nascita – come detto – il paese dovette avere una struttura policentrica: da un lato il “casale” dei Vignai (il cui territorio era caratterizzato dalla presenza dei resti di molte ville romane); dall’altro, sito nella zona a valle, quello di San Nicola. A proposito di quest’ultimo “casale”, la presenza di uno stemma vescovile, tuttora visibile su di un arco, recante la data del 1143, sta ad indicare, molto probabilmente, l’epoca in cui esso fu edificato (lo stemma si riferisce al vescovo Tommaso Anfora, che dovette essere uno dei primi successori di San Bernardo). Questo nucleo abitativo poté incrementarsi circa cinquecento anni dopo, per una migrazione di persone provenienti (a causa della malaria) dall’antico sito di S. Janni a ponte campano.
In seguito a tale evento, il “casale” mutò nome, acquisendo quello di S. Janni, conservando una sua autonomia geografica, come testimoniato dalle cartografie anche di epoca molto recente. A questi due primi “casali”, se ne aggiunsero, in seguito, altri due, posti in posizione intermedia: Casale di Sopra e Casale di Mezzo, con l’incremento dei quali si è venuta sempre più delineando l’attuale conformazione del paese.
In breve, va notato come Casale abbia legato il proprio destino in maniera strettissima al ruolo della civiltà contadina (in particolare alla coltivazione della vite) e perciò se a cavallo tra Ottocento e Novecento ha avuto un ruolo-guida nel territorio, dopo la seconda guerra mondiale l’industrializzazione, il progressivo abbandono delle campagne ne hanno fortemente limitato lo sviluppo, fino a farlo regredire.
Vanno segnalati a coloro che volessero visitare questa importante frazione del comune di Carinola: 1) la cappella di S. Paolo, situata sulla sommità della collina omonima, che domina la valle, restando visibile da gran parte di essa; 2) la cappella di Santa Maria a Pisciariello, che in una cornice di rilevante pregio ambientale presenta interessanti dipinti (probabilmente coevi a quelli dell’Annunziata in Carinola), tra i quali uno, raffigurante la Madonna con Bambino, di chiaro influsso bizantino, su pietra tagliata da un masso antistante la cappella stessa; 3) il sepolcreto nella parte sottostante il piazzale; 4) ed infine, nella parte posteriore della chiesa, una fontana in pietra, risalente agli inizi del Settecento. Vanno pure posti in evidenza il palazzo Marra, con una finestra rinascimentale, e lo stesso impianto urbanistico dei “casali” più antichi.
A parte rimane il poderoso impianto di profonde cantine di varia fattura e grandezza, che caratterizza il sottosuolo del paese, rimanendo scavate nelle ceneri costipate provenienti da Roccamonfina.
Palazzo Marzano
CENNI STORICI
da: “Carinola tra storia e immagini”
Circolo Legambiente Nuova “Calenum”
Casa Marzano costituisce un importante elemento di sintesi che racchiude in sé ed esplica la breve e pur intensa vicenda artistica che nel Quattrocento coinvolse Carinola, segnandone profondamente il tratto.
La dimora fu edificata intorno alla metà del XV° secolo, da maestranze catalane, su commissione di Marinello Marzano, duca di Sessa ed esponente di una delle più potenti famiglie baronali del Regno, tanto da guadagnarsi l’epiteto di “piccolo re della Campania”. La posizione di rilievo assunta dai Marzano nell’ambito della geografia baronale del Regno, sancita dal matrimonio dello stesso Marinello con una figlia naturale di Alfonso V, richiese l’edificazione di una magione che fosse all’altezza del prestigio e della dignità raggiunti. Sorse così, ai margini del complesso urbano della contea di Carinola, allora legata al ducato di Sessa, probabilmente su di un’area occupata da un preesistente edificio, una delle più felici ed intense espressioni dell’architettura catalana.
Incisero sulla scelta del sito diversi fattori: la difficoltà di trovare un’area idonea a Sessa; l’importante posizione strategica occupata da Carinola; la vicinanza con lo stesso Alfonso, che in Carinola, pare proprio di fronte a quello Marzano, possedeva un proprio palazzo.
Stando al Filangieri, l’edificio fu opera dell’architetto catalano Guillem Sagrera; e non è da escludere che al suo completamento contribuisse anche il figlio di quest’ultimo: Jaymo; mentre, in un suo scritto sui discepoli del Sagrera, Gabriel Alomar attribuisce la costruzione dell’edificio, sia pure con qualche imprecisione, esplicitamente a Jaymo. Per quanto riguarda, invece, l’aspetto decorativo, analogie e raffronti consentono di risalire all’opera di maestranze catalane allora presenti sul territorio del Regno ed operanti in altre e più importanti fabbriche della capitale; inoltre le differenze di stile riscontrabili tra i vari elementi sculturali e decorativi e in particolar modo tra il piano inferiore ed il primo piano, consentono di rilevare che ad essi lavorarono due diversi scultori. Comunque, uno studio più attento ed approfondito del manufatto, che tenga conto sia dell’aspetto architettonico che di quello sculturale-decorativo, fa pensare ad un’opera progettata nel suo insieme da un gruppo di autori di grande livello.
Casa Marzano, dunque, si presenta come un impianto organico ed unitario rientrante in una precisa tipologia, che è quella della casa patrizia, già diffusa sul territorio campano, arricchita dalla peculiare esperienza catalana.
Tra gli elementi architettonici di maggior rilievo l’accento va posto sulla corte interna. Infatti nel patio, rimasto pressoché integro dopo la deflagrazione che nel 1943 distrusse gran parte dell’edificio, si concentrano e si sviluppano quei caratteri propri e peculiari che sono alla base dell’arte catalana. Oggi il patio conserva ancora importanti tracce della corte d’onore, con il corpo di guardia e le scuderie; mentre uno scalone porta al piano nobile di rappresentanza, dove da un loggiato si accedeva, da un lato, attraverso una singolare porta ad arco due volte inflesso, alla sala delle udienze (andata totalmente distrutta) e dall’altro agli appartamenti privati.
Lo scomparso portale d’ingresso merita poi un discorso a parte; infatti tale opera, che richiama nella tipologia piuttosto il portale rinascimentale napoletano ad arco depresso, si distacca singolarmente dal resto dell’edificio, invece di chiara impronta catalana (la contraddizione con la porta del primo piano è evidente). E’ difficile oggi stabilire se tale elemento di contraddizione sia il segno di maestranze locali che collaborarono all’opera, sia pure sotto l’influenza dell’arte catalana; o piuttosto sia il segno di un affermarsi di quella tendenza rinascimentale toscaneggiante che ormai si andava diffondendo anche nell’Italia meridionale; o ancora stia a significare un completamento successivo dell’opera da parte di maestranze locali, sia pure sotto la guida dello stesso Jaymo (completamento che comunque non può essere avvenuto oltre il 1458, dato che sull’arco appare la croce dei Marzano, e Marino tradì Ferrante nel 1459). Tale elemento di forte contraddizione riscontrabile nel portale d’ingresso, sia detto per inciso, non intacca minimamente l’unità stilistica e strutturale dell’intera opera, che resta, sia pure ridotta ormai ad un rudere, uno dei più fulgidi esempi “dell’arte venuta di Catalogna” presenti nell’Italia meridionale.
Casa Marzano, rimasta pressoché integra fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, fu parzialmente distrutta nel 1943 ad opera prima delle truppe tedesche in ritirata, che con una carica esplosiva ne minarono la stabilità, e poi di quelle alleate che demolirono le parti pericolanti. Andarono così distrutti gli ambienti prospicienti l’attuale via Roma, gran parte del piano superiore ed il portale d’ingresso, oltre alla rovina di importanti elementi sculturali e decorativi presenti sia al piano terra che al primo piano. Né le vicissitudini di questo importante monumento cessarono con la guerra; infatti il forte ciclone che si abbatté sulla Campania nel dicembre del 1974 distrusse la residua copertura dell’edificio e provocò il crollo di coronamenti murari e sculturali come lo scudo araldico nella chiave di volta dell’arco depresso del loggiato superiore e gran parte dello stesso arco.
Al di là di un primo parziale intervento di restauro, risalente ormai al 1939, che portò alla rimozione di una scala costruita all’interno del patio per disimpegnare le varie proprietà, casa Marzano è rimasta, per lungo tempo, abbandonata a se stessa, e solo in questi ultimi anni è tornata, con una serie di restauri, al centro dell’attenzione.
Così, prima nel 1985, con un intervento d’urgenza per il consolidamento dello scalone d’onore, che rischiava di crollare; e poi, recentemente, nel 1990, con un più ampio ed organico programma di restauro, si è cercato di porre rimedio alla rovina del rudere.
Tra gli interventi più importanti che hanno caratterizzato quest’ultimo restauro, peraltro incompiuto, vanno ricordati: il completamento dell’intervento sullo scalone d’onore, iniziato cinque anni prima; il consolidamento delle strutture murarie; la ricostruzione delle parti mancanti degli archi, attraverso l’uso appropriato di tecniche antiche; la realizzazione di solai di tipo moderno, ai quali sono state sospese volte di metallo leggero, al fine di evidenziare le parti integrate da quelle ricostruite ex novo; la ricostruzione dell’arco che mette in comunicazione il porticato con lo scalone d’onore; ed infine la discutibile ricostruzione del portale e dell’androne d’ingresso.
Palazzo Novelli
CENNI STORICI
da: “Carinola tra storia e immagini”
Circolo Legambiente Nuova “Calenum”
Palazzo quattrocentesco, dimora dei conti di Carinola, rappresenta, con palazzo Marzano, una delle più importanti testimonianze di arte catalana.
Posto al centro della città, è subito visibile a chi percorre il corso principale, sia per la sua posizione che per le caratteristiche finestre, che lo hanno reso celebre, presenti sulla facciata.
Il palazzo, la cui origine resta incerta, subì una profonda trasformazione nella seconda metà del XV secolo ad opera di maestri catalani, i quali lavorarono sia alla decorazione delle famose finestre, sia ad una più completa risistemazione dell’intera fabbrica. Per tali interventi, sulla base di testimonianze e riscontri ritenuti attendibili, si fanno i nomi di Gil de Luna e Matteo Forcymanya. Probabilmente, a sollecitare tali lavori fu proprio il Re aragonese Ferdinando I; pare infatti che questi fosse solito soffermarsi a Carinola (come ci testimonia un documento da lui firmato nel 1468) e che avesse passato un
mese nella città nel 1475, presumibilmente per godere dell’avvenuta ristrutturazione.
Ancora oggi palazzo Novelli conserva le sue funzioni abitative che se da un lato ne hanno impedito il progressivo degrado per incuria, dall’altro sono state motivo di gravi manomissioni.
L’impianto architettonico della fabbrica non è frutto di un disegno organico ma ha subito nel tempo una serie di interventi che ne hanno più volte modificato la struttura fino ad acquisire, forse proprio nel XV secolo, quella attuale che si sviluppa e si articola intorno a due cortili.
Attraverso un portale durazzesco con arco a sesto ribassato ed un androne voltato a botte, si accede ad un primo cortile, dal quale parte la scala aperta che porta ai piani superiori; essa si sviluppa a destra dell’ingresso e porta a un loggiato superiore che presenta un affresco sul muro ed è caratterizzato da colonne ottagonali con archi depressi e da un soffitto a panconcelli dipinti con motivi floreali.
Circa la disposizione delle finestre, bisogna dire che esse si aprono su tutto il palazzo in numero di otto: due sul lato vescovado, tre sulla facciata principale, una su quella laterale guardante il castello e due sulla parte posteriore dell’edificio.
Grancelsa (Casanova)
CENNI STORICI
da: “Carinola tra storia e immagini”
Circolo Legambiente Nuova “Calenum”
Situata in felice posizione ambientale, a mezza costa di un contrafforte del Massico, la piccola chiesa di Santa Maria della Grancelsa è facilmente raggiungibile dalla vicina frazione di Casanova.
Questo interessante edificio può essere inquadrato nell’ambito di un fenomeno molto diffuso in epoca tardo-romana e altomedioevale: quello della riutilizzazione di strutture architettoniche preesistenti, di solito ville romane, che in relazione alle mutate vicende storiche e sociali, vedevano mutare la propria funzione. Rientrante, pertanto, in una siffatta tipologia, l’attuale struttura, di modeste dimensioni, sorge, probabilmente, sui resti di una villa romana molto più estesa. In base ai pochi e frammentari dati di cui disponiamo, sappiamo che l’edificio, in quanto struttura religiosa, dipendeva, fin dal IX secolo, dall’abbazia di S. Vincenzo al Volturno, il che ne confermerebbe l’adesione alla regola benedettina, e la sua originaria destinazione di monastero. L’attuale struttura è quella di una piccola cappella, munita di una cisterna e di pochi altri spazi, eretta dai fedeli a Santuario.
San Paolo (Casale)
CENNI STORICI
in preparazione…
Cattedrale (Carinola)
CENNI STORICI
da: “Carinola tra storia e immagini”
Circolo Legambiente Nuova “Calenum”
La Cattedrale di Carinola fu eretta, sul finire dell’XI secolo, per volere dell’allora vescovo S. Bernardo, che, con l’edificazione della nuova chiesa, trasferì la sede vescovile da Ventaroli a Carinola.
Di impianto normanno, come del resto il vicino castello baronale, questa importante fabbrica religiosa subì, in un vasto arco di tempo, che va
dall’ XI al XVIII secolo, molti interventi che ne mutarono più volte l’aspetto.
Costituita in origine da tre navate e tre absidi, presto la Cattedrale si arricchì, tra il 1109 ed il 1118, di una quarta navata, ricavata dall’eliminazione di un braccio del chiostro dell’allora palazzo vescovile, il cui perimetro, almeno in parte, è ancora oggi riscontrabile nei muri dell’attuale sacrestia.
In seguito al terremoto del 1349, in piena epoca angioina, subì una serie d’ interventi di ristrutturazione che si protrasse per circa duecento anni e che portarono, fra le altre cose, alla costruzione di un coro poligonale; nel 1400, inoltre, si procedette alla copertura delle navate con volte a crociera ed alla costruzione di un’ abside con perimetro pentagonale; mentre risale al 1431 la costruzione dell’arco trionfale di chiaro gusto catalano.
Nel XV secolo, ad opera del vescovo Bartolomeo Capranica, fu finalmente completata la facciata con la creazione di un portico d’ingresso a tre archi, costruito utilizzando colonne monolitiche tolte dall’interno della chiesa; su iniziativa dello stesso vescovo, inoltre, furono portate all’esterno 14 statuette di terracotta maiolicata, di epoca angioina secondo alcuni, rinascimentale per altri, e collocate su di una fascia orizzontale presente al di sopra del pronao.
Nel ‘700 il loggiato fu modificato ancora una volta con l’apertura, al di sopra degli archi, di tre balconi facenti parte del palazzo vescovile; e sempre nello stesso secolo fu costruito il campanile con cuspide maiolicata.
Altri lavori furono eseguiti all’interno della chiesa nel XVIII secolo in relazione alla visita, risalente al 1729, di papa Benedetto XIII. Il pontefice lasciò alla comunità carinolese un quadro della Madonna delle Nevi che fu collocato all’interno di una cappella ricavata, per l’occasione, nel presbiterio. Per dar risalto ad una visita così importante, fu eretta, inoltre, una lapide marmorea situata nella navata di destra.
Infine, recentemente, durante i lavori di sostituzione della preesistente pavimentazione maiolicata e la posa del nuovo pavimento, furono scoperte due cappelle con pareti parzialmente affrescate e un altro ambiente in cui è stato ritrovato il basamento dell’antico campanile.
Chiesa Santa Maria (Casale)
CENNI STORICI
in preparazione…
Episcopio (Ventaroli-Foro Claudio)
CENNI STORICI
da: “Carinola tra storia e immagini”
Circolo Legambiente Nuova “Calenum”
La basilica di Santa Maria in Foro Claudio, già Santa Maria di Valle d’Oro, è più comunemente conosciuta con il nome di Episcopio e si vuole che risalga ai primi anni della cristianità (IV – V secolo).
E’ ubicata a pochi chilometri da Carinola, nei dintorni della frazione di Ventaroli, luogo dell’antico Foro Claudio, di cui è stata vescovado fino al 1099, anno in cui il Vescovo Bernardo trasferì la sede vescovile a Carinola.
La costruzione, con muratura portante in tufo grigio locale, è immersa nel verde della campagna circostante e prospetta su uno slargo della stradina campestre che conduce al vicino abitato. La facciata è caratterizzata da un elegante portale rinascimentale con ricordi romanici, al di sopra del quale si aprono due bifore sovrapposte; il resto dell’esterno, a parte l’abside mediana semicircolare che presenta un disegno di archi su lesene, è improntato ad una estrema semplicità Il pavimento è sottoposto rispetto al terreno del piazzale d’ingresso e, quindi, l’accesso avviene mediante cinque gradini.
L’interno è a tre navate con altrettante absidi a forma semicircolare; due file di sette colonne monolitiche, con capitelli corinzi che reggono archi a pieno centro ma un poco sopraelevati, dividono la navata principale, con copertura a due falde sorrette da capriate in legno, da quelle laterali, con tetto ad una falda. Mentre l’ambiente centrale è illuminato da una serie di quattro monofore poste su entrambi i lati lunghi e da una bifora sovrastante il portale d’ingresso, solo quello laterale sinistro presenta delle piccole aperture. Molto probabilmente sia le pareti che le absidi erano in origine interamente ricoperte di affreschi; purtroppo, ai nostri giorni, sono rimasti solo pochi frammenti lungo le pareti perimetrali e nell’abside mediana (alcuni risalgono all’arte benedettina – bizantineggiante come quelli più noti di S. Angelo in Formis).
Negli anni ottanta la basilica è stata oggetto di interventi di restauro riguardanti sia la struttura muraria che le pareti affrescate; a seguito di ciò la chiesa è stata riconsacrata ma viene riaperta al culto solo in particolari circostanze.
Castello di Carinola
CENNI STORICI
da: “Carinola tra storia e immagini”
Circolo Legambiente Nuova “Calenum”
Nella parte settentrionale dell’attuale abitato di Carinola, nel punto più elevato del territorio, ai margini dell’antica struttura urbanistica, si incontrano i ruderi del castello, tra i quali, ancora imponente, si leva la grande mole del maschio.
L’edificio risale, molto probabilmente, all’epoca normanna (a tal proposito, alcune fonti riportano la data del 1134 ed attribuiscono al conte Riccardo di Carinola la committenza dell’opera). Certamente fu riparato in periodo angioino e ristrutturato in era aragonese con l’ausilio di maestranze catalane.
Sorto probabilmente su di una preesistente struttura difensiva fortificata di epoca longobarda, questo imponente edificio doveva giustapporsi, in quanto polo militare e civile, simbolo del potere politico, al polo religioso, già esistente all’estremità opposta del borgo, ed articolatosi intorno alla chiesa cattedrale.
In un primo momento, pare che venisse aggiunto, alle torri angolari preesistenti, un “cammino di ronda”, interrotto da passaggi vincolati, per isolare quelle parti di cui i nemici potevano impadronirsi; quindi si procedette all’edificazione del “maschio” (torre di pietra che serviva da estrema difesa qualora i nemici fossero riusciti a penetrare nella cinta muraria). Di forma quadrangolare, esso era destinato ad ospitare le sentinelle, poiché era la torre più alta, più poderosa e più solida, sicché è sopravvissuto alle vicende belliche e catastrofi naturali. Sempre in tale periodo, accanto al maschio, fu realizzato, probabilmente su ordine dello stesso Riccardo, un palazzo privo però di fortificazioni, che contava un gran numero di stanze ( un documento del 1245 ne enumera 82).
Con la fine della dinastia sveva, gli angioini fecero riparare le mura cadenti; il cammino di ronda nel 1383 fu sormontato da merli a coda di rondine, secondo l’usanza ghibellina, per ordine di Giacomo Marzano.
Nuovi interventi si debbono agli aragonesi: si può notare, infatti, l’opera delle maestranze catalane in alcuni elementi architettonici e decorativi, ricollegabili alle opere in stile catalano presenti nella città di Carinola.
Il castello seguì in tutto le vicende politiche del borgo che dominava, cosicché dalla metà del XV secolo in avanti passò nelle mani dei diversi feudatari che si alternarono al potere in Carinola, tra cui, in particolare: i duchi Marzano, i baroni Petrucci, i Borgia duchi di Candia, la casata dei Consalvo de Cordova, i Carafa principi di Stigliano e per ultima la famiglia Grillo di Clarafuente.
L’impressione di imponenza e severità di questa dimora-fortezza è confermata dai resti e dalle rovine che oggi rimangono e dalla sua presumibile struttura: la presenza di un loggiato al piano superiore, di ambienti a piano terra per le scuderie e per il corpo di guardia, di sotterranei e segrete adibite a prigioni e di uno scalone esterno (oggi distrutto), sono la testimonianza della funzione e dell’importanza di questo fabbricato nell’ambito della città.
In seguito agli eventi bellici della seconda guerra mondiale, sono andati distrutti parte del corpo centrale allungato, parte del loggiato superiore, oltre ad altri importanti particolari architettonici. Durante tale periodo, esso ospitava un impianto per la lavorazione della canapa.
Attualmente del castello di Carinola non restano che parte del loggiato verso est, gli ambienti con forma e struttura a volta della parte centrale e il maschio. Su questi ruderi, in pietra di tufo grigio, è possibile distinguere quattro finestre in stile quattrocentesco e alcuni archi a sesto acuto, che mitigano, con le loro forme morbide, il carattere arcigno di questa costruzione.
Convento di San Francesco (Casanova)
CENNI STORICI
da: “Carinola tra storia e immagini”
Circolo Legambiente Nuova “Calenum”
Raggiungibile sia dalla frazione di Casanova, ove è ubicato, percorrendo una strada carrabile, sia dal capoluogo di Carinola, tramite un sentiero campestre che attraversa un ruscello, il complesso conventuale è adagiato sulla prima balza di una collina che domina tutta la vasta pianura di Carinola. Si ritiene che esso sia stato fondato nel XIII secolo dai seguaci del Santo, o addirittura da Lui stesso, che, secondo la tradizione, vi dimorò per sette anni; studi più recenti, invece, fanno pensare ad una permanenza molto più breve, risalente alla primavera del ’22.
Il convento è stato costantemente abitato dalla comunità francescana fino al 1813, anno in cui Gioacchino Murat rese esecutiva la legge sulla soppressione delle corporazioni religiose emanata da Napoleone Bonaparte nel 1810. Così, mentre la chiesa, sebbene spogliata, rimase aperta al culto, il convento venne abbandonato una prima volta. Quindi, andò gradualmente in rovina fino al 1838, data in cui il re Ferdinando II, pressato dalle richieste del popolo carinolese, ne decretò la riapertura. Poi nel 1866, in seguito alla soppressione decretata dal Governo italiano con una legge del 1861, fu nuovamente abbandonato e ritornò lentamente a degradare fino al 1948, anno in cui venne definitivamente riaperto e ripopolato dalla comunità dei Frati Minori, i quali tuttora detengono l’esercizio del culto.
Nelle sue travagliate vicende, il complesso monumentale ha subito diversi interventi di ristrutturazione e di restauro. Vanno menzionati: 1) quelli avvenuti verso la metà del Quattrocento, riguardanti il chiostro; 2) quelli databili intorno alla metà del Cinquecento, con l’aumento di numerose fabbriche, ad opera del Principe di Stigliano; 3) quelli del 1838, finanziati dal popolo carinolese; 4) infine, quelli iniziati, dopo il secondo conflitto mondiale, grazie all’interessamento di varie personalità dell’epoca e proseguiti soprattutto grazie all’opera ininterrotta ed infaticabile di padre Cristoforo Bovenzi nei suoi diciotto anni di permanenza nel convento, che ai nostri giorni si sono quasi conclusi con la riattazione delle dimore dei frati.
Il complesso monumentale è formato da una chiesa e da un convento e pertanto si articola secondo un ordine urbanistico-architettonico caratteristico delle comunità monastiche. Il cuore è rappresentato dal quattrocentesco chiostro, da cui si irradiano sia gli ambienti di culto che quelli quotidiani. Di forma pressoché quadrata, esso è caratterizzato su ogni lato da cinque archi a sesto acuto in tufo pipernoide grigio, poggianti su corti pilastri, in parte polistili, culminanti in capitelli floreali ed in parte quadrangolari smussati; il tutto sorretto da un basamento, contraffortato su due dei lati, che funge anche da perimetrazione al giardino. La serie continua degli archi scandisce il percorso del portico, coperto con volte a crociera, e quello del sovrastante terrazzo, a cui si accede dagli ambienti del dormitorio posti al piano superiore. Al piano terra il chiostro confina per un lato con lo spazio esterno di accesso all’intera costruzione, per altri due con gli antichi ambienti della cucina e del refettorio e per il quarto con la chiesa. A quest’ultima si accede attraverso la sacrestia, coperta con volte a crociera ed aperta con un arco a tutto sesto verso il presbiterio. Un tempo la muratura del chiostro, come pure quella degli altri ambienti, era riccamente affrescata; oggi, purtroppo, gli affreschi rimasti sono solo in alcune lunette del portico e nell’antico refettorio.
Dei pochi affreschi superstiti del chiostro, solo quello duecentesco raffigurante la Madonna con Bambino benedicente tra S. Giovanni Battista e S. Francesco e quello, incompleto, d’età più tarda, che rappresenta il Santo di Assisi nell’atto di ricevere le stimmate e S. Antonio, sono stati in parte recuperati, a seguito di un accurato restauro; gli altri, purtroppo, versano tutti in un penoso stato di degrado e di abbandono. Un discorso a parte merita, invece, l’affresco del refettorio: di grande interesse artistico, esso si inserisce nel contesto della pittura campana tardo-quattrocentesca. Di notevoli dimensioni, chiuso in una lunetta semicircolare, rappresenta la salita al Calvario; fanno da sfondo al tema centrale una molteplicità di altre figure, tra le quali: quella di Maria, di Giovanni, un corteo di francescani ed un altro di dignitari; altre figure ancora, molto probabilmente, campeggiavano nelle parti attualmente rovinate ed illeggibili. L’affresco appare frutto di una logica compositiva arcaizzante, in base alla quale si potrebbe fissarne la datazione agli inizi del XV secolo; ma su di esso, tuttavia, agisce profondamente quella componente catalana molto diffusa nel clima culturale carinolese della seconda metà del Quattrocento, ed è in questo periodo, quindi, che va ancorata la sua effettiva datazione. Circa l’attribuzione dell’opera, problema ancora irrisolto, nonostante la sua chiara ascendenza catalana è preferibile non guardare ad artisti iberici; si possono avanzare, a tal proposito, a titolo di mera ipotesi, i nomi di Dello Delli, o, senza andare troppo lontano, quello di Giovanni da Gaeta. Infine, all’interno della chiesa, vanno ancora segnalati due interessanti affreschi, presenti sul lato destro dell’edificio: un S. Antonio Abate, posto vicino all’ingresso, ed un’Annunciazione posta, invece, all’altezza del presbiterio.
La chiesa presenta una disposizione planimetrica longitudinale a due navate. La navata maggiore, che presenta una copertura costituita da due falde inclinate sorrette da capriate in legno a vista, ha una notevole elevazione. All’interno le pareti sono scandite da due ordini di aperture foderate, come in tutta la costruzione, di pietra grigia; in alto la navata presenta sei finestre ogivali strombate (tre per parte) non in asse con gli archi sottostanti; in basso, a destra tre pseudo-cappelle inquadrate da archi ogivali poggianti su pilastri polistili, a sinistra quattro arconi, a tutto sesto, aperti verso la navata laterale. Nella parte terminale sopraelevata, vi sono quattro edicole (due per parte) ed un arco trionfale a sesto acuto, poggiante su un altro piano rialzato, che funge da mediazione con l’abside rettangolare, illuminata da un’ampia finestra strombata e coperta con volta ogivale. La navata laterale, un poco sopraelevata rispetto a quella maggiore, ha anch’essa andamento longitudinale e presenta, lungo la muratura perimetrale, sette cappelle, ognuna con due piccole feritoie strombate (alcune cieche) e, quindi, altrettante campate coperte con volte a crociera. La navata si conclude con un arco a tutto sesto poggiante su un piano rialzato ed aperto verso una piccola abside quadrangolare, illuminata da due feritoie strombate e coperta con una volta a botte lunettata.
All’esterno il sagrato è costituito da un’ampia gradinata che raccorda lo spazio antistante il complesso conventuale con le tre aperture di accesso al chiostro, alla navata maggiore ed a quella laterale. La facciata, che risulta rimaneggiata nel disegno delle bucature, simula una struttura fortificata limitata da due finte torri in piperno e ha sulla destra una propaggine contraffortata, conclusa con un elemento a torre in corrispondenza degli ambienti destinati a residenza dei frati.
In ultimo, bisogna rilevare che dalla parte del giardino, lungo la parete un tempo esterna, è scavata in un banco di roccia la grotta in cui si vuole dimorò il Santo, oggi incorporata in una cappella costruita dopo il 1966, anche con elementi architettonici provenienti da altre antiche fabbriche.
Parascandolo (Carinola)
CENNI STORICI
da: “Carinola tra storia e immagini”
Circolo Legambiente Nuova “Calenum”
Si presume che questo fabbricato, andato completamente distrutto a causa degli ultimi eventi bellici, sia coevo a palazzo Marzano (costruito intorno alla metà del XV secolo), in quanto sembra che i lavori di tale fabbrica siano stati intrapresi dallo stesso Marinello Marzano, onde assicurare al suocero, re Alfonso V, una residenza di caccia che fosse di fronte alla propria dimora. A tal proposito, un elemento non secondario è rappresentato dallo stemma posto al di sopra dell’ornamentale finestra quattrocentesca, raffigurante l’arme aragonesi di Durazzo (come emerge dall’unica testimonianza fotografica pervenuta fino a noi).
Chiesa dell’Annunziata (Carinola)
CENNI STORICI
da: “Carinola tra storia e immagini”
Circolo Legambiente Nuova “Calenum”
La chiesa dell’Annunziata, o dell’A.G.P. (Ave Gratia Plena), risale certamente alla seconda metà del XV° secolo e pare che sia stata edificata a seguito di un voto per l’apparizione della Madonna ad una giovanetta. Essa si trova in posizione decentrata rispetto all’abitato e precisamente nella zona orientale, al di là dell’antico fossato.
L’edificio, con struttura portante in pietra di tufo e copertura a due falde con capriate in legno, ripropone l’impianto ad aula, con un monumentale arco trionfale a sesto ribassato sostenuto da pilastri polistili, conclusa con un’abside quadrata coperta con volta a crociera; da quest’ultima, a destra, si accede alla sacrestia, coperta anch’essa con volta a crociera. Nelle pareti laterali dell’unica navata si aprono pseudocappelle con archi ogivali su piedritti polistili e capitelli a motivi vegetali. Lungo il fianco sinistro, comunicante con la chiesa, si sviluppa un piccolo edificio, costruito presumibilmente sull’area di un preesistente ospedale (il quale si mantenne per più secoli con le rendite elargite in favore dell’Annunziata, di cui è poco posteriore); esso è formato da due ambienti: il primo coperto con volta a crociera, il secondo con volta a botte lunettata.
La facciata, che presenta un portale rinascimentale (con lunetta affrescata del XV° secolo) non in asse con il sovrastante rosone, risulta racchiusa a sinistra dal suddetto edificio (caratterizzato anch’esso da un portale) ed a destra dalla mole del campanile maiolicato (la cui costruzione, probabilmente dopo il 1552, si deve a Luigi Carafa principe di Stigliano e feudatario della città), nonché da un piccolo ambiente che sporge dal campanile (i cui muri rimaneggiati fanno ipotizzare che sembri essere stato all’origine una porta di accesso all’abitato poi ampliata per destinarla a cappella).
La chiesa è stata gravemente danneggiata dagli ultimi eventi bellici ma poi restaurata e riaperta al culto fino agli anni ottanta, quando, a seguito dei danni causati dal terremoto, è stata oggetto di nuovi interventi di ristrutturazione e restauro che da poco sono stati completati.
Il prospetto della chiesa è caratterizzato dai due portali in pietra: l’uno della cappella, destinato alla confraternita; l’altro della chiesa. Notiamo inoltre il rosone anch’esso in pietra, che appare asimmetrico rispetto al campanile, costruito in epoca successiva alla fondazione della chiesa.
Statuette Maiolicate (Carinola)
CENNI STORICI
da: “Carinola tra storia e immagini”
Circolo Legambiente Nuova “Calenum”
Nell’ambito del patrimonio storico ed artistico carinolese, grande importanza rivestono quindici statuette di terracotta maiolicata, presenti, fino agli anni ’70, all’esterno della cattedrale di Carinola, ed allineate su di una fascia orizzontale, posta al di sopra del pronao, chiusa da due cornici lapidee.
Collocate fino alla seconda metà del XVI secolo all’interno della chiesa, quelle superstiti furono poste all’esterno dal vescovo Bartolomeo Capranica (1548-1572), che, nel portare a termine, dopo diversi secoli, i lavori del pronao, volle arricchire il prospetto aggiungendovi le quindici maioliche.
In origine le statuette dovevano far parte di un complesso molto più ampio, comprendente: le tre Virtù Teologali, le quattro Virtù Cardinali, i sette vizi capitali, gli Evangelisti, Adamo ed Eva e forse alcune figure di profeti.
Probabilmente, la loro collocazione originaria era nel coro poligonale, oppure in una delle cappelle laterali, poste sul lato sinistro, realizzate intorno alla metà del XV secolo; in ogni caso, dovevano far parte di un monumento di particolare rilievo.
Di forte spessore plastico e raffinata definizione formale, le quindici figure policrome, concepite a tutto tondo, alte circa 35 cm, sono realizzate in terracotta e presentano una stesura di smalto latteo, con tocchi contenuti di blu e di verde. Esse, più che da complemento ad una struttura architettonica, dovevano far parte di un contesto narrativo, attinente alla materia cristologica, ampio e tematicamente articolato in gruppi figurati, rappresentati – come detto- dagli Evangelisti, forse dai Profeti e da figure allegoriche. Tale contesto, sembrerebbe essere avvalorato dagli scritti, resi in corsivo gotico, che scorrono sui diversi cartigli e sul codex aperto, tenuto in mano da un Evangelista.
La loro collocazione in una delle cappelle aggiunte sul fianco sinistro della chiesa, come parte di un organismo plastico-architettonico più complesso, probabilmente un monumento funerario, ne confermerebbe la datazione intorno alla metà del XV secolo, epoca in cui tali cappelle furono realizzate. Non è totalmente da escludere, tuttavia, l’ipotesi di una loro possibile origine trecentesca, poiché appare del tutto incomprensibile come in un solo secolo (dal 1450 al 1550) vi possa essere stata una tale falcidia di statuine, tanto da ridurne notevolmente il numero. In questo caso, appare più plausibile una loro originaria collocazione nel coro poligonale, appunto di epoca angioina (1350 ca.), il che non escluderebbe una loro possibile successiva riutilizzazione nell’ambito di una nuova struttura, creata, intanto, all’interno delle due cappelle comunicanti, poste a sinistra dell’edificio.
Ma uno studio più analitico delle quindici statuine ed una serie di raffronti ed analogie, rafforzano la tesi di una loro origine quattrocentesca, legata a canoni espressivi già avulsi dal clima culturale trecentesco; inoltre, la loro probabile matrice non italica, rimanda al composito panorama artistico napoletano, fiorito intorno alla corte d’Aragona, e nel quale confluivano tendenze sia nordiche che catalane, ancora improntate ad un gusto tardo-gotico.
Proprio nell’ambito di questo clima culturale, possiamo trovare in alcuni manufatti lignei, realizzati da Pietro e Giovanni Alamanni, – come il presepe di S. Giovanni a Carbonara – quei caratteri di originalità riscontrabili anche nelle maioliche invetriate di Carinola. Così in uno dei pezzi più intensi di tale presepe: una Sibilla Cumana con cartiglio, nella sua definizione formale e stilistica, troviamo non poche analogie con le quindici statuine in questione, analogie che, oltre alla dimensione moderna e mondana delle figure, riguardano la peculiare descrizione del vestiario, formalmente reso con un linearismo ancora gotico.
Tali brevi considerazioni, se non all’autore, ci consentono almeno di risalire all’epoca e quindi alla scuola delle maioliche carinolesi, che se pur realizzate a Napoli, – come emerge dall’uso dei materiali: argilla di Formia e l’inconfondibile verde-ramina napoletano – si richiamano ad esperienze culturali di scuola tipicamente nordica (fiamminga o borgognona). Il loro inserimento nel clima culturale carinolese, pervaso tuttavia dall’esperienza artistica catalana, è dunque da attribuirsi alla grande recettività culturale che il piccolo centro campano conobbe nella seconda metà del XV secolo e che lo portò a seguire le vicende culturali e politiche della breve dinastia aragonese.
Attualmente, le quindici statuette in terracotta maiolicata, sono esposte nel museo dell’Opera e del Territorio, recentemente allestito presso la Reggia di Caserta.